Ulisse compie il suo viaggio all’insegna della ciclicità della vita dove tutto torna. Accade che l’andare diventi un perdersi, un viaggio senza meta, un troncare legami, ma esiste il viaggio verticale dello speleologo dell’anima. Un continuo movimento fra tensioni opposte e nasce il dramma, come nel Mattia Preti che cerca fra le ombre la sua luce nell’opera pervasa di sacro, solenne e misterioso, di Anna Finetti a ricordo della vita dell’artista, pittore e religioso. Il viandante sa, mettendosi in cammino, che non perderà mai l’orientamento perché la sua attenzione è sempre vigile al qui e ora. Anche noi abbiamo bisogno di ancorarci al tempo e allo spazio e di costruire ogni giorno la nostra mappa e allora il passato e il presente possono convivere e diventare tutt’uno e Mattia Preti potrà percorrere a ritroso il cammino della storia, senza smarrirsi fra le rovine di un tempio neolitico e di una mappa segnata con mano leggera e precisa da Rebecca Forster, come fa il cartografo che guarda alla terra e non disdegna il cielo. I sogni si spengono precipitando sulla terra e mostrando l’orrore generato dall’odio e l’abbandono di corpi reietti nella sabbia della Libia, partiti verso la speranza e morti derelitti, perché la crudeltà acceca e gela il cuore e costruisce scudi (Alessio Tibaldi). Ci fu un tempo in cui la Calabria era la terra dell’oro sibarita. Oggi la sua anima d’oro è imprigionata da abusi e da paure. E come in un “noir” aspettiamo il finale, fra dubbi e ansie e voglia di futuro (Stefania Scattina).
Anche per Nadia Galbiati (Rebecca Forster lo ha mostrato con la sua mappa fra cielo e terra) è importante l’ancoraggio allo spazio che per l’artista è quello costruito della città: un’ambivalente griglia sciolta, fatta di segni, che imprigiona e rassicura.
Il viaggio verticale, così chiamato da Anna Finetti, è quello che compie anche Mireille Saliba. Chi sono io?, si chiede l’artista, perché sempre si parte alla scoperta del mondo e verso la speranza per scoprire chi siamo, lasciando alle spalle la paura che blocca il passo.E il viaggio alla scoperta del mondo porta Antonio Sormani a scoprire la relatività dell’appartenenza per abbattere i muri. Il suo è un viaggio nella natura come luogo della pittura, che dà un respiro calmo ad una storia di colori luminosi, sfiorati dall’ombra appena un po’, perché il paradiso in terra è storia per bambini.
Come Alessio Tibaldi, Alessandro Gordano e Nicola Labate, nel loro video Tracce discontinue compiono un viaggio di ricognizione nel dolore e nella fragilità della condizione umana. Mostrano l’inanità dei proclami sui diritti, portando a emblema la donna, simbolo originario di esclusione e prevaricazione da parte dell’uomo che ha paura della sua ombra.
I segreti dell’anima si rivelano nei visi e negli occhi dove è possibile leggere tutto: l’abisso di uno sguardo perso nel vuoto e quello che arriva al cuore scavalcando fossati. I visi sono le mappe dell’anima, come nei versi della poesia di Pasolini Supplica a mia madre a cui si ispira Isora Caprai. Ci fu un tempo in cui l’acqua primordiale, quella in cui si formarono piccolissimi esseri infinitesimali all’origine della vita, giocava con la luce disegnando scie luminose. La fotografia di Carlo Delli è l’omaggio a quell’incontro gioioso.
L’uomo Mattia Preti fu grande al pari dell’artista se in tempo di peste documentò con la sua pittura l’orrore dei tempi e la pietà. Davide”Ratzo”Ratti ha costruito con un fotomontaggio digitale un personaggio/maschera che ricorda il suo coraggio.
Lorena Pedemonte e già Ugo Locatelli si soffermano sul ritmo e sul movimento che crea vita. La Pedemonte lo fa raffigurando schematiche figure d’uomo sospese nello spazio, di heringiana memoria, su uno sfondo urbano bidimensionale, azzurro come l’universo, e parossisticamente affollato. Un mondo segnico ed elettrizzante con cortocircuiti che creano scintille. Spesso l’incontro con l’ombra è drammatico perché ciò che non conosciamo fa paura,
interviene allora Bacco col suo vino che allenta le difese, genera luce e dà ristoro (Pino Lia). Ma bisogna prendersi cura della casa abbandonata e iniziare un viaggio salvifico nel tempo perchè così le stanze d’ombra si illumineranno di tessere di luce (Alessio Larocchi), che disegnano trame e ordito, geometrizzando la vita, nelle texture di Luce Delhove e nel lavoro di Franco Tripodi che usa, incasellati, i colori di Mattia Preti e per scrivere i nomi dei personaggi si serve dei segni di un alfabeto inedito, da lui inventato nel 1995, e diventati la nota concettuale di un lavoro che traduce così l’enigma del vivere.
Il segreto è il non detto, contraddizione in termini, che si tramanda inconsapevolmente da una generazione all’altra. E’ quanto suggerisce il frammento di una poetica immagine di madre e figlia di Marina Buratti, che si rifà alla sindrome degli antenati di Anne Anceline Schutzenberger. C’è un’ombra inquietante come una minaccia che incombe sull’uomo che cammina sulla spiaggia, inconsapevole o presago del pericolo?, nella foto di Enrico Pozzoli ed esprime l’incertezza del vivere, ma anche di una Calabria prigioniera del ssuo passato.
Scrivere l’ombra è come scrivere con la luce sull’acqua ( Carlo Delli), perché dal nero fitto di una biro che non lascia scampo riaffiora qua e là la luce che si infiltra fra i righi e risplende in un gioco d’azzardo che si pone al limite, nell’opera di Max Bottino.
Ma i colpi di luce hanno una funzione particolare perché allentano la tensione accecante delle tenebre e queste nel contempo permettono di affondare lo sguardo nello stato crepuscolare dell’ombra al confine tra visibile e invisibile. Così Giulio Calegari che ricrea artisticamente e poeticamente la realtà dopo averla indagata da archeologo.
Luigi Negro Barquez cerca un suo percorso per arrivare dalle tenebre alla luce, partendo dai margini periferici di un quadrato, immersi nelle ultime ombre della notte, e, seguendo diagonali/segnali di luce, arriva al luogo misterioso delle clessidre, dove il tempo è il marchio rosso di una incerta e faticosa ricerca che segue la scia delle emozioni per trovare la strada. In un viaggio al termine della notte in cui la Calabria è solo una meta temporanea.
Mimma Pasqua