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Omaggio a Lorenzo Calogero: “Un bisbiglio lungo il cammino”

Un poeta tra gli artisti

Questo tentativo di dialogo tra la poesia di Lorenzo Calogero e certe espressioni dell’arte contemporanea non è una mera rivisitazione, sia pure aggiornata ai linguaggi artistici attuali, dell’oraziano ut pictura poësis; né vuole essere, d’altra parte, una proposta innovativa nell’ambito degli scambi, peraltro già ampiamente esplorati, tra arte poetica e arti figurative. L’operazione odierna mira piuttosto a stimolare nuove sinergie tra parola scritta e immagine, tra suono e visualità, spingendosi in una direzione più umana e poetica che eminentemente formale. Di qui l’invito, rivolto a ciascun artista, a inoltrarsi nei meandri tortuosi della personalità e della vicenda poetica di Calogero, una vicenda straordinariamente ricca e intensa. Il poeta di Melicuccà, autore instancabile e tormentato, intorno al quale si è creata un’aura di solitudine e di disagio esistenziale, e per il quale la poesia fu al tempo stesso morbo e antidoto, sconfitta e conquista, furore e sublimazione, diventa, in questa sede, oggetto di riflessione e motivo d’ispirazione per una vasta ed eterogenea adunanza di artisti. Una grande diversità di temi, poetiche e tecniche caratterizza l’insieme delle opere proposte dai vari autori, le cui indagini incontrano, sulla scia di un interesse già consolidato per Calogero o di una sua più recente scoperta, le tensioni, le dicotomie e i turbamenti che lo stesso poeta ha proiettato e trasfigurato nei suoi componimenti: amore e morte, desiderio e assenza, gioia e dolore, lucidità e follia, speranza e disillusione, natura e individuo, sogno e realtà, parola e materia, metafora e narrazione. Portavoce di una condizione umana tesa tra vitalità poetica e vocazione autodistruttiva, Calogero fu anche «abile ragno nel gioco della sintassi» la cui penna rivela «un incrocio di tendenze, rifiutandole tutte per non impoverirsi», come disse Eugenio Montale, oppure usandole tutte ai fini della sperimentazione linguistica e ritmica. Testamento letterario oltreché spirituale, queste poesie sono giunte ai posteri in parte inedite, suscitando da un lato vivaci pareri critici dall’altro indifferenza e oblio; un oblio letterario ed editoriale che fu fonte di indignazione e di riprovazione da parte degli stessi amatori e sostenitori del poeta. Anche queste vicende, che come le poesie concorrono a definire l’esistenza frammentata di Calogero, hanno ispirato, nel campo specifico di questo evento, riflessioni e pensieri sul suo tragico destino ma anche sulla sua inconfondibile creatività poetica. Nel percorso diramato della mostra, l’opera che per prima focalizza il rapporto tra pittura e parola è quella di Alfredo Maiorino, ispirata alla poesia eponima della raccolta di Calogero Poco Suono.

 

Nel dipinto le parole intese come flusso organico e incontrollabile di segni alfabetici scorrono e si sovrappongono in un ordito libero e incalzante. L’accostamento di questi segni a una distesa uniforme di rosso, sinonimo potenziale di vitalità irrazionale, sembra ribadire l’unione indissociabile tra arte e vita, tra poesia ed esistenza, riproponendo il legame viscerale che Calogero instaurò con la propria ars poetica. Altri segni, non più proliferanti ma isolati in campi neutri sono quelli che Vittorio Corsini associa ad alcuni versi estrapolati dalla raccolta Quaderni di Villa Nuccia. I simboli matematici, dipinti sulla carta, che accompagnano le parole del poeta, rimandano all’indagine condotta dall’artista sui segni e sulla trasformazione della loro accezione più comune in significati ‘altri’ inerenti la complessa sfera delle relazioni umane e la sfuggente mobilità dei suoi codici. Un ‘rebus’ di codici visivi e verbali è invece quanto propone Lamberto Pignotti nell’opera che reinterpreta il passo Il Mattino sul Colle inclemente/Era la causa dei sogni, tratto dalla poesia Se per poco odo. Nella composizione, il gioco fonico-verbale e la graffiante visione dei ‘tempi moderni’, tipici di Pignotti, incontrano certi aspetti dell’arte di Calogero e richiamano, attraverso le immagini contraddittorie e complementari di Charlot e di una donna soave, il fantasma femminile e i sogni che il poeta, pur nella «sua goffa fisionomia», alimentava «come in un continuo dormiveglia». Nella sua opera Nel bianco, una scatola chiara e misteriosa che funge da scrigno o da reliquiario, Caterina Arcuri fa risuonare il verso «Tutto è bianco e opaco» della poesia Silenzio Sacro. La trasparenza velata della superficie e la lucentezza metallica della foglia collocata all’interno generano una doppia visione che riporta alla condizione personale del poeta e ai suoi slittamenti dalla lucidità all’offuscamento mentale fino alla fuga incondizionata dalla realtà. Lo stato di isolamento vissuto dallo scrittore di Melicuccà trova una sua simbolica interpretazione anche nel lavoro Azzurra, di Giulio De Mitri, raffigurante una conchiglia sospesa nel tempo e nello spazio. Immersa in un’atmosfera marina e al tempo stesso tecnologica, questa presenza arcana sembra echeggiare la condizione di silenzio – ‘sacro’, come recita l’omonimo componimento calogeriano – vissuta dal poeta e l’intensa malinconia che ha marcato per lunghi anni il suo universo psichico ed emotivo. Nel lavoro presentato da Salvatore Anelli sono riportate le ultime volontà espresse da Calogero su un biglietto ritrovato accanto alle sue spoglie: «Vi prego di non esser sotterrato vivo». Questa drammatica preghiera si propaga, nell’opera, come un’eco funesta intorno al profilo di un teschio e di una croce, quasi a ribadire la caducità del tutto ma anche la speranza di rinascita e di perpetuità risvegliata dalle facoltà intellettive dell’uomo. Una visione crepuscolare e interiorizzata della natura è quella che Massimo Innocenti associa all’opera e alle pulsioni creative di Calogero.

 

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