Era il 1986 quando, in una delle mie consuete visite in libreria, mi trovai tra le mani una contenuta antologia di poesie di Lorenzo Calogero, del quale fino a quel momento m’era giunta solo l’eco del nome. Come mia abitudine, prima di decidere per l’acquisto, la sfogliai e ne rimasi folgorato.
Non mi trovavo davanti a uno di quei poeti calabresi un po’ scontati, dal respiro provinciale, dal lessico povero, dalla musicalità incerta, ma di fronte indubitabilmente a un poeta di statura nazionale, dalla poesia complessa e marcatamente originale (anche se debitrice di influenze importanti, naturalmente), dall’impronta stilistica di forte spessore, (certo il più grande poeta calabrese del Novecento), nei cui versi sofferenza e solitudine, compagne di tutta una vita, portano all’estremo indicibile e purissimo la sua necessità di fondere corpo e verso, di uomo-lirico, come Franz Kafka era stato uomo-penna.
Così da quel momento, periodicamente, sono tornato a leggerlo e rileggerlo e a seguire le vicende alterne dei suoi versi, che credo non sia del tutto peregrino inquadrare nell’alta poesia europea del secolo scorso (“nuovo Rimbaud italiano”, secondo qualcuno, o il “Mallarmé italiano”, secondo qualcun altro), come in fondo avevano fatto da subito Roberto Lerici, il primo e unico che abbia sistemata e pubblicata quasi tutta l’opera allora nota del medico di Melicuccà, nella collana “Poeti europei”, e aveva ideato il suggestivo titolo “I quaderni di Villa Nuccia”, per l’ultima produzione (che secondo l’autore, avrebbe dovuto intitolarsi “I canti della morte”) e Giancarlo Vigorelli che pubblica alcune sue poesie con note di Leonardo Sinisgalli (il suo più convinto estimatore da subito) nel fascicolo di aprile del 1961 di “Europa Letteraria”, per una sfortunatissima coincidenza, un mese dopo la sua morte.
Un’opera, una scrittura, possibile “anastrofe della catastrofe” (De Martino), che ancora deve essere indagata a fondo e che riserva, a quanto pare, felici sorprese negli oltre ottocento quaderni manoscritti di recente consegnati all’Università della Calabria, che paiono custodire tra l’altro più di 15.000 versi.
Così, non ho potuto non sentirmi profondamente soddisfatto quando, nelle stanze di Vertigo Arte, si è pensato e poi deciso di dedicare la quarta edizione di Tornare@Itaca proprio a Lorenzo Calogero (insieme ad Alda Merini -lirica ideale compagna in emarginazione e sofferenza, oltre che in disagio mentale, pur agli antipodi geografici, ed anche per questo accostata), con l’adesione sicura dell’ideatrice della rassegna e di altri poeti e di una cinquantina di artisti non solo nazionali.
Naturalmente, nessuno s’illude che questo omaggio possa mutare le fortune della sua poesia, ma, dopo l’ampio convegno dedicatogli a febbraio 2010 dall’Università della Calabria, auspichiamo e speriamo che un nuovo segnale, questa volta anche artistico, e quindi forse di maggiore visibilità, che dopo il Museo civico di Cosenza è destinato ad altre sedi della Penisola, possa stimolare una più ampia riconsiderazione, che riporti (dopo il successo degli anni ’60) all’attenzione e alla dignità nazionale tutto il corpus edito e per ora inedito del “mite poeta di Melicuccà”, come ebbe a definirlo Amelia Rosselli, operazione alla quale, a nostro avviso, non possono non porre mano, dopo il segnale che viene da Cosenza, Enti come la Regione Calabria e la Provincia di Reggio Calabria, Fondazioni come la Carical, le più importanti case editrici calabresi, la stessa Unical, naturalmente, gli eredi e tutti quanti hanno a cuore le sorti di questa terra e dei suoi figli più illustri spesso colpevolmente trascurati e dimenticati.
Franco Gordano