UN VIAGGIO DI SOLO RITORNO,
OVVERO LA SINGOLARE AVVENTURA DI UNO YACHTSMAN INGLESE
Da scrittore amante dei paradossi, Gilbert K. Chesterton ha confessato un giorno di aver desiderato raccontare la storia di uno yachtsman inglese che, salpato alla volta di un lontano arcipelago dei mari del Sud, per una serie di eventi del tutto fortuiti (un guasto agli strumenti di bordo, una nebbia così fitta da costringerlo a navigare alla cieca per giorni e giorni) finì per approdare sulle verdi coste di un’isola che, dopo un breve giro d’esplorazione, scoprì non essere altro che l’Inghilterra. “Invidiabile errore” di navigazione, secondo Chesterton, che consentì al suo involontario eroe di fondere insieme, come un alchimista provetto, tutti gli elementi di un viaggio perfetto: l’ardore iniziale a divenir del mondo esperto, l’ardire di affrontare l’alto mare aperto, l’angoscia di sentirsi, nel vasto oceano, soli, sperduti, senza difesa, e poi la gioiosa sorpresa di ritrovarsi alla fine sulla strada di casa. In fondo il personaggio di Chesterton pare inventato apposta per conciliare le due “figure” di viaggio più famose e contrastanti del mondo occidentale: l’Ulisse dantesco e l’Ulisse di Omero. Del primo condivide l’irrequietezza e la sete di conoscenza che lo spingono a oltrepassare ogni limite e a sfidare l’infinito; al secondo sembra invece accomunato da un’invincibile attrazione (più inconscia che conscia) per l’isola da cui era partito. Di sicuro il suo esempio non può piacere ai pavidi, ai pigri e ai sedentari, perché ricorda che non vi sarebbe conoscenza, non vi sarebbe consapevolezza della propria e dell’altrui cultura, se non vi fosse qualcuno così audace da “prendere il largo” e lasciarsi alle spalle la terra natia per “mettersi nell’avventura”; poi, com’è accaduto al nostro yachtsman, può capitare di smarrirsi, di sbagliare la rotta nella nebbia, di vedere l’orizzonte che improvvisamente si oscura. Mi piace però immaginare ch’egli fosse preparato per ogni evenienza e che non si sia mai scoraggiato. Certo, prima di partire, avrà messo in conto anche di poter morire. Quando ebbe perso del tutto il senso dell’orientamento e la situazione gli apparve disperata, la salvezza gli giunse nella maniera più inaspettata: si alzò un bel vento e la nebbia sparì all’improvviso, così come all’improvviso, molti giorni prima, era arrivata. Grazie a quel vento, lo yachtsman poté rivedere la luna e scrutare la posizione delle stelle. Il baluginare di una luce in lontananza gli fece ritornare la speranza e durante la notte non si staccò dal timone. La sua veglia notturna non fu vana: non era infatti una fata morgana ciò che gli apparve all’alba del giorno seguente. Mentre la scena del mondo si illuminava si stagliò all’orizzonte, nella luce sempre più chiara, una grande e bianca scogliera. Scorse anche un faro, e ne fu confortato: era l’indizio sicuro che non lontano vi era un luogo abitato. La distanza che separava il suo yacht dalla costa fu percorsa rapidamente, come in un sogno, e l’uomo trovò facilmente un buon punto d’approdo. Non appena sbarcato, si chinò a baciare per prima cosa la spiaggia sabbiosa e inviò un pensiero di ringraziamento a Dio per averlo aiutato. Si mise poi fiduciosamente in cammino, cercando di avvistare qualcuno che gli indicasse il nome di quella terra, e non fu affatto deluso (anzi ne fu esilarato!) quando, dopo aver scambiato qualche parola con il primo uomo incontrato, scoprì di essere ritornato nella vecchia e cara Inghilterra. Agli uomini di mare che vollero ascoltare il racconto della sua avventura, l’eccitato yachtsman cercò di spiegare per quale strano scherzo del destino lui, che era partito volgendo la prua verso l’emisfero meridionale, era stato a sua insaputa risospinto verso la terra natale. E quando quelli, che volevano saperne di più, gli si assieparono intorno, imbaldanzito dichiarò che, per quanto lui ne sapesse, tra tutti i viaggi bizzarri, esotici e spericolati compiuti nel mondo, forse soltanto il suo aveva avuto la straordinaria caratteristica di essere stato un viaggio di solo ritorno.