Il tema delle mostre attiene all’andare, al viaggio.
Oggi le modalità di viaggiare sono cambiate. Spostarsi da un luogo all’altro, cambiare paese e stabilirsi in un altro è diventato usuale e tende a perdere i connotati traumatici del distacco. Viaggiare in internet ha finito per generare una tendenza al nomadismo in cui il ritorno assume spesso il significato di sosta fra un viaggio e l’altro e in questo contesto non è più conoscenza esperienziale di luoghi e persone, ma frenesia di movimento fine a se stesso. L’errare, il vagare, l’apertura al nuovo e al diverso che alimentano di senso l’esperienza del viaggiatore richiedono di perdere tempo, quasi uno smarrimento di sé che è preludio ad un nuovo ritrovarsi.
Il ritorno ad Itaca è la tappa finale di un viaggio circolare in cui si parte per ritornare al punto di partenza. In realtà nel viaggio della vita il ritorno alle proprie radici è spesso simbolica riscrittura della propria storia nel tentativo di ridare significato a ciò che si è vissuto. Ognuno di noi ha un peculiare modo di viaggiare la vita. Nel caso di un curatore e critico d’arte, condividendo, ad esempio, un tema con gli artisti e scoprendo strada facendo che le mostre altro non sono che momenti di un percorso di ricerca attraverso l’esperienza del fare artistico e della metafora visiva. Il punto di vista del viaggiatore è contaminato dalla sua esperienza. Nell’emigrante, colui che non sceglie di andarsene, ma vi è costretto dalle circostanze della vita e spesso dalla ricerca del lavoro c’è la consapevolezza che il suo andare è per sempre e non contempla il ritorno, se non quello temporaneo della visita ai parenti e agli amici. Ciò che lo spinge a lasciare i luoghi dell’affetto è il desiderio di riscatto, di liberazione da una condizione di bisogno, mentre una memoria di odori, voci, sapori e volti lo legheranno, in uno stato di sinestesia affettiva, per sempre alla sua terra e ridaranno compattezza ad uno stato esistenziale di confine.
Emigranti che tornano d’estate. Li vedi passare per le strade del paese, dove anche tu sei nato e ti accorgi che non sono più quelli di prima. Qualcosa del nuovo mondo gli è rimasta incrostata addosso. I vestiti, il taglio dei capelli, l’espressione raccontano di altri luoghi ed altre genti.
Camminano e tu li guardi, e ti accorgi di quell’ombra che gli attraversa lo sguardo. Quello sguardo sospeso a mezz’aria e un po’ perso. Un po’ altrove.
Essere qui e non ritrovarsi, perché tutto intorno è cambiato. C’è stato il ricambio generazionale, i vecchi amici non ci sono più. Anche il paese è cambiato, i campi sono coperti di case e cemento.
Un po’ straniero fra i suoi, cerca di riabbracciare legami, riprendere consuetudini.
Gli altri, i conoscenti, gli amici lo salutano, si informano di lui, lo invitano, lo ospitano, lo festeggiano, ma non è più dei loro e una parete sottile, che c’è e non si vede, li separa da lui. Lo separa da loro. E lui vive un senso di alterità e un presentimento d’assenza, perché presto non sarà più qui.
Eppure questo ritorno l’ha cercato. Ha sentito che era necessario. Voleva fermarsi a pensare. A pensare la sua vita. A riscriverne i capitoli in attesa di chiudere la storia.
D’estate il paese si riempie di gente come lui. Alcuni sono villeggianti che trovano riparo qui dal caldo della città.
Per un paese così piccolo – pensa – ci sono tante macchine. Troppe! Ha sorriso quando ha scoperto che “passeggiano in macchina”. Anche i ragazzi non sono più abituati a camminare.
Le panchine rotte, i vasi rovesciati, i fiori strappati. Dalla città vicina arrivano anche le brutte abitudini, gli scempi. La noia. Un sottile senso di malessere che si insinua sotto la pelle. Ma è ancora bello potersi incontrare con facilità e ritrovarsi la sera davanti al portone a chiacchierare come ai vecchi tempi o dire vengo a prendere il caffè da te, sto passando e salgo un momentino.
Arrivare a piedi dappertutto. E’ tutto racchiuso in una mano, è tutto qui il mondo di prima che partisse. Ma è solo una sosta e se ne andrà. La sua vita è altrove.
Mimma Pasqua